Carlo Pesce - La semplicità del paesaggio
Un percorso da autodidatta, quello di Roberto Bonafé, un percorso affrontato con l'umiltà di chi sa mettersi in discussione, di chi si colloca su un perenne piano di approfondimento e di confronto con gli altri.
Dalla sua pittura emerge una passione sincera, un amore per il colore, per la luce e per l'indagine realistica del quotidiano che lo circonda. È una pittura rispettosa, che osserva l'universo di cui fa parte con la serenità francescana della piena coscienza del sapere di essere infinitesima porzione di esso. La sua pittura è caratterizzata da un consapevole rifluire verso un'aura artistica rarefatta, chiusa in una visione di equilibrio classicheggiante o di sospesa arcaicità.
L'esperienza di Bonafé è indirizzata verso un rapporto vivace e dinamico di esplorazione realistica, che addirittura lo conduce a sperimentare tecniche e situazioni che lo portano a affrontare anche quegli elementi astratto/materici che caratterizzano l'ultimissima sua produzione. Ciò pone la sua esperienza su una posizione simile a quella di altri artisti, però con un atteggiamento costruttivo, creato sulla base di argomenti abbastanza evidenti. Egli riprende gli elementi tradizionali del fare pittura, con una visione più aperta, più attenta alla citazione colta, legata a una genuinità che sembra lontana da qualsiasi implicazione ideologica.
Per comprendere questo discorso è sufficiente osservare con una certa attenzione un brano di paesaggio di Bonafé: colori freschi, luce chiara, azzurro tenero del cielo, tappeti vedi distesi su terreni appena mossi. Un tappeto uniforme, delimitato nel fondo da una quinta di alberi e di colline che la lontananza tinge di viola e di azzurro.
È un paesaggio carico di motivi pittoreschi, semplice, ma di una semplicità tanto colma di sensibilità da poter registrare la lenta corsa della giornata, il vibrare della brezza sui rami ancora spogli. Un'attenzione non priva di quelle intuizioni da permettere di notare delle leggere depressioni del terreno. Il protagonista di queste pitture è lo spazio, reso concreto da un chiarore quieto che attenua le ombre, scandito e misurato dai filari degli alberi, sereno, silenzioso, profondo, ma non immenso, non vuoto. Questo spazio è orlato da colline morbide, pochi segni scuri in primo piano invitano a condividerlo, a viverlo, a esplorarlo, in attesa di un lento, quanto inevitabile cambiamento.
Sappiamo che poco più in là ci aspettano i segni della presenza umana. Sappiamo che in questi spazi verrà l'estate, e poi l'inverno, che la vita si trasformerà, si popolerà di persone, le stesse che vivono nei ritratti di Bonafé, bambini che si apprestano a partecipare alla vita, a testimoniare i cambiamenti. A reinventare quei segni e quei colori che diventeranno più facili, anche per noi, a essere compresi, a goderli e a parteciparli più pienamente.
In quanto al luogo preciso della pittura raffigurata nei dipinti, non importa molto, nonostante siano luoghi concreti (lo dimostrano i profili delle colline, le alture che individuano le valli del novese), perché la raffigurazione è solo un pretesto per rivelare sentimenti: il sentimento di uno spazio sfuggente e nello stesso tempo razionale, in cui non è possibile smarrirsi.
È il sentimento di un'esplosione di luci, in cui non c'è niente di definito e neanche di effimero: come nella vita che si rinnova ciclicamente, mutevole ma anche eterna, sempre diversa e sempre uguale, come un meccanismo pronto a accettare un'unica variante poetica.
È il pretesto per creare un'immagine astratto/materica priva di tempo, in cui lo spazio è colore, è un insieme apparentemente disordinato di sensazioni psichedeliche che altro non sono che un'evoluzione di ciò che Bonafé ha da sempre prodotto. La sua elaborazione formale diventa allora così ricca in termini di pigmenti e di luci che non può che essere derivata dalle esperienze dell'Impressionismo.
Ma la sua trascrizione pittorica, abbreviata, consapevolmente dimessa e semplificata, è frutto anche di conoscenze diverse e più moderne, quelle di anni in cui è prevalso il gusto per una ricerca soggettiva di libera sperimentazione della realtà e del sentimento.
Roberto Bonafé ricava immagini affascinanti per illusione di verità, spesso chiuse in una sorta di scolastica meditazione. Riesce a conseguire stesure di colore piacevoli, ottenute con una certa disinvoltura formale. Sono epifanie di luci mutevoli, che procedono attraverso un continuo lavoro sulla pittura oltre che sulla natura. La superfici delle sue tele sono fresche, rese tali attraverso strisciate di colore serico, con contrasti, segni veloci e leggeri, grumi luminosi che si affossano e si compenetrano.
Carlo Pesce
Da Il Novese del 29.11.2007
Franco Barella
Apparentemente legato a una riproduzione fedele delle immagini recepite, ne supera l’iconografia figurativa imprimendo nelle sue composizioni ritmi di ricerca supportati da spunti di fantasia, che ci inducono ad un giudizio di modernità insospettato al primo incontro. Una fantasia che gli consente di scoprire in contorte radici sembianze di donne, delfini, teste equine, combattimenti e come tali, scoprendoli, riuscire a riproporceli.
Ama la sua, la nostra, terra, le sue valli attorno, i suoi paesaggi degradanti appena delineati dalle colline, i suoi campi arati dormienti nella neve o sommersi nelle fioriture primaverili, gli ultimi gelsi fraschetani al tramonto avvolti nelle prime brume autunnali. Sottende accese campiture rese composte da un dosaggio attento di colori, di tenerezze che trasporta e confronta con i severi monti del Trentino dove si rifugia per un riposo, forse anche rigenerativo della vena pittorica. Confronta, ma non confonde, la poesia delle nostre terre di cui annota le modulazioni tonali, mentre rimarca gli echi profondi, ricchi di antiche favole e leggende, fra imperiosi castelli e austere cime alpine. Indaga tempi e temperie cercando di fissare un momento che repentinamente sfuggirà per modificarsi, rinnovarsi e divenire irripetibile. Con lo stesso intento conduce la ricerca sulla figura. Cerca di cogliere l’impulsivo gesto di tenerezza del nonno che custodisce la nipotina. Avverte e fissa lo stupore del pastore, anche un po’ intimorito, che non comprende, non si spiega il perché lo stiano ritraendo. Nel tenero sogno di mondi festosi e felici dell’adolescente, immagina e accenna all’ombra appena avvertita, proiettata dal contatto con la realtà.
Questi momenti che Bonafé riesce a cogliere, memorizzare, rivivere e riprodurre nelle sue tele, sono gli stessi che imprime allorché coglie il taglio che la luce dà alle geometrie dei manufatti dell’uomo. Non saprei dire se li ama o li ritiene intrusioni nella natura, ma non li trascura, né li lascia freddamente staccati. Forse perché sono rifugio, tane dell’uomo che cura la sua terra, forse perché sono utili arcate sinuose che accompagnano il percorso del torrente senza ostacolarlo, ne dà un’immagine amica, segnata da luci solari o morbide, per inserirle in armonia quale elemento sia pur estraneo, ma non avverso, nel verde, nelle brume, nello spazio della natura.
Conoscete Roberto Bonafé?
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